Cage e il pianoforte di carta

Una sera d’autunno ho assemblato un pianoforte di carta. Una volta completato il montaggio (non senza qualche difficoltà), ho deciso di fotografarlo. Volevo un bianco e nero non troppo nitido, con un tocco d’epoca: per questo ho montato sulla mia Sony NEX-5N un obiettivo russo degli anni sessanta, l’Industar 28mm f/2.8. Poi ho pensato a come potrebbe suonare un pianoforte di carta…

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John Cage ha scritto due brani per pianoforte giocattolo: una “Suite” nel 1948 e “Music for Amplified Toy Pianos” nel 1960.  Una cosa che mi ha sempre affascinato di Cage è la sua capacità di spaziare tra livelli di complessità molto diversi: alcuni suoi brani a prima vista sembrano complicatissimi, altri semplicissimi. Tuttavia, non appena ci si addentra nel significato profondo delle sue opere, ci si rende conto che l’iper-descrittivismo notazionale o l’assoluto dépouillement non sono che i due livelli estremi di una pratica compositiva omogenea, che (in gran parte della sua produzione) si basa sull’auto-cancellazione della volontà autoriale mediante l’introduzione del caso. E così, la distanza concettuale tra i quasi insuonabili “Freeman Etudes” per violino (che esibiscono a una notazione quasi à la Ferneyhough) e la tranquilla monodia pianistica di “Cheap Imitation” (tratta dal “Socrate” di Satie) si assottiglia: le due modalità compositive non si trovano in opposizione, essendo accomunate dall’utilizzo di procedimenti aleatori. Ciò che le differenzia è soltanto la densità degli eventi (intesa non solo ‘in orizzontale’ nella dimensione temporale, ma anche ‘in verticale’ nella dimensione gestuale e timbrica), non l’intrinseca complessità (o semplicità) di ogni atomo costitutivo. A questo proposito sono rivelatori i cosiddetti “number pieces” dei suoi ultimi anni, in cui i suoni inanellati dagli interpreti possono giustapporsi o sovrapporsi in un continuum di infinite densità possibili, variabili in funzione del numero degli esecutori e della densità di ogni singola parte.

La lezione di 4’33” è universale: se l’assenza di eventi musicali tradizionalmente intesi cela una biblioteca sonora sconfinata e sempre in ampliamento, allora qualsiasi evento scritto su carta è equiparabile per lo meno a un intero libro! L’invito liberatorio di Cage ad aprire la nostra percezione al Suono, nel senso più vasto del termine, si applica quindi anche a quei suoni che a un orecchio (presuntamente) smaliziato sembrano scontati e banali. Si tratta in definitiva di una lezione di democrazia sonora, dove ogni suono è in sé completo e autosufficiente, esteticamente equivalente a qualunque altro – sia esso prodotto attraverso una difficile combinazione di gesti strumentali (come nei “Freeman Etudes”) oppure attraverso la semplice pressione di un tasto (come in “Cheap Imitation”).

Ascoltando la “Suite” per toy piano, l’esteriore scarnificazione della scrittura – che deve fare i conti con uno strumento dalle possibilità in apparenza limitatissime – non è che un invito ad ascoltare veramente, o, per continuare la metafora libresca, a leggere la storia di ogni suono. Il timbro inarmonico del pianoforte giocattolo è un romanzo in sé compiuto, che può evocare non solo generiche ambientazioni infantili, ma anche timbri di gamelan o persino suoni elettronici di sintesi.

Troppa musica contemporanea (definizione in sé esilarante) ricorre alla complessità tecnica e notazionale come a una coperta di Linus, in grado di proteggere dalle possibili critiche dei ‘colleghi’. L’impressione è che si tenti di assegnare alla complessità un valore morale, invece di considerarla come la necessaria conseguenza di un’elevata densità di eventi – che di per sé non è né positiva né negativa. Ascolto per esempio un magnifico e difficilissimo pezzo per pianoforte solo di Beat Furrer e mi chiedo, complice il commento malandrino di un utente di Youtube, se esistono brani contemporanei altrettanto splendidi e ricchi, che possano essere eseguiti da un pianista di limitata abilità tecnica. Sì, forse alcuni ce ne sono: penso per esempio al grande Kurtág

Resto con una curiosità inappagata: come avrebbe suonato, il mio pianoforte di carta, nelle mani di Cage?

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